Teaming

La parola Team è una parola statica, monolitica, che evoca solidità ed organizzazione. Team è un gruppo di persone che lavorano insieme, fianco a fianco, in modo strutturato, per il raggiungimento di un obiettivo comune. L’etimologia vuole la parola Team derivata dall’Old English col significato di giogo / animali aggiogati assieme – analogo al tedesco ‘Zaum’ briglia, e al greco ‘zeugma’ legame, nonché proprio al nostro ‘giogo’. Quella del giogo è un’unione di lavoro fondamentale, un essere legati per uno scopo comune. La struttura del team tiene insieme le persone e fa si che mettano insieme i loro sforzi per conseguire il risultato collettivo.

Ma quanto la parola Team corrisponde ad un concetto ancora attuale oggi? Cosa accade in una realtà in cui, nelle organizzazioni, i team si disassemblano con la stessa facilità con cui erano stati creati? Che senso ha in un mondo in cui un team (un team di progetto) si forma con il compito di raggiungere un solo unico obiettivo? In cui i team sono internazionali e multiculturali? In cui le persone vanno e vengono dai team con grande flessibilità e facilità?

Studi recenti e recenti teorie di business e management sostituiscono la parola Team con Teaming. Teaming è un verbo. E’ qualcosa di dinamico, è un’attività in continua evoluzione.

Più che lavorare in Team le persone nelle organizzazioni hanno bisogno di avere capacità di Teaming: di mettere insieme in modo rapido e dinamico competenze utili, creare sinergie veloci e solide, dare vita a nuove forme organizzative che non siano solo forti e strutturate per eseguire al meglio, ma siano agili, flessibili ed aperte per apprendere al meglio e per innovarsi di continuo.

Questo richiede che i singoli mettano in atto una serie di comportamenti che sono legati all’apprendimento di gruppo, quali porre domande, condividere informazioni, chiedere aiuto, sperimentare nel nuovo, ricercare feedback, parlare apertamente degli errori ed usare gli errori come uno strumento, appunto, di apprendimento.

Il bisogno di fondo di Team come questi allora, non sono più le competenze solo tecniche, quanto piuttosto una serie di competenze comportamentali forti che facciano si che le persone riescano a costruire davvero un ambiente psicologicamente sicuro in cui tutti abbiano la facoltà (vera) e sentano propria la responsabilità di parlare, di dire la loro, senza paura di sbagliare e del giudizio.

Quanto questo è vero e percorribile nella realtà che conosciamo?

Troppo spesso la volontà e l’entusiasmo di voler lavorare insieme per un obiettivo sono ostacolate dalla paura di parlare apertamente o meglio delle conseguenze che il parlare apertamente potrebbe provocare. Essere assertivi è maggiormente necessario all’interno di un team.

Un aspetto culturale che intercorre spesso nell dinamiche di gruppo è la percezione del fallimento, che facilmente si identifica con colpa, senza una chiara consapevolezza della differente natura delle possibili cause di un fallimento.

Nel suo libro Teaming, Amy C. Edmondson, a proposito del gioco della ricerca del colpevole, illustra chiaramente uno spettro di possibili cause del fallimento secondo un gradiente che ha come estremi encomiabile e biasimevole:

  • Devianza
  • Disattenzione
  • Mancanza di competenze
  • Inadeguatezza del processo
  • Compito troppo sfidante
  • Complessità del processo
  • Incertezza
  • Validazione di un’ipotesi
  • Prova esplorativa

Questo spettro di cause genera una serie di conseguenze che sfumano dal biasimo alla lode, riconoscerlo è un passo di crescita importante per creare la sicurezza psicologica necessaria ad essere un team, anzi … a fare Teaming!